Come visto all'inizio della sezione, la cinematica stabilisce le relazioni che intercorrono tra il moto e le sue cause.
Per evitare difficoltà, ci occuperemo solo della dinamica del punto, perciò quando parleremo di forze applicate a un corpo, le dobbiamo intendere come applicate a un punto fisico del corpo.
Principi della dinamica
1° principio della dinamica
Il primo principio fondamentale della dinamica di Newton, detto anche principio di inerzia o principio di Leonardo da Vinci (individuato da Leonardo e formulato da Newton) afferma che ogni corpo in un riferimento galileiano (isotropo) mantiene il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fino a quando non interviene una forza esterna che, agendo su di esso, ne modifica lo stato.
In altre parole, una forza applicata a un corpo libero ne determina un'accelerazione.
Come esempio esplicativo ci rifacciamo a quanto già esposto nella pagina precedente. Ciò dimostra come, cinematica, statica e dinamica sono tra loro interconnesse.
2° principio della dinamica
Il secondo principio fondamentale della dinamica di Newton, o Legge di Galileo (individuato da Galileo e formulato da Newton) afferma che l'accelerazione che assume un corpo soggetto a una forza è in ogni istante direttamente proporzionale all'intensità della forza, ha direzione e verso della forza stessa ed è inversamente proporzionale alla sua massa.
La costante di proporzionalità k non è altro che la massa inerziale.
Questo significa che un corpo acquisisce un'accelerazione tanto maggiore quanto più grande è la forza applicata e, a parità di forza, l'accelerazione è tanto minore quanto maggiore è la sua massa inerziale.
3° principio della dinamica
Il terzo principio fondamentale della dinamica di Newton, o principio di azione e reazione, dice che quando un corpo esercita una forza su un altro corpo (azione), quest'ultimo esercita una forza simultanea di uguale intensità ma di verso opposto (reazione).
In altre parole, a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Osserviamo la figura sottostante. Un'astronave sta viaggiando con moto rettilineo uniforme a motori spenti. Quando avvia i motori, i gas di combustione escono dallo scarico posteriore (azione) facendo accelerare l'astronave (reazione) in direzione opposta.
Impulso e quantità di moto
Dal secondo principio, se una forza continua e costante agisce su un corpo inizialmente in quiete, questo assume un moto uniformemente accelerato, dove l'accelerazione soddisfa la legge:
F = ma
Alla fine del tempo t il corpo avrà una velocità:
v = at da cui t = v/a
Moltiplicando le due equazioni membro a membro si ottiene:
I due prodotti sono le misure di due nuove grandezze vettoriali e
.
La formula sopra esprime il teorema dell'impulso: l'impulso di una forza esercitata su un corpo è uguale alla variazione della quantità di moto subita da questo.
Definiamo i termini impulso e quantità di moto.
Impulso
Il prodotto di una forza per il tempo della sua azione si chiama impulso della forza.
* Più correttamente
Δt
.
L'impulso è una grandezza vettoriale avente direzione e verso coincidenti con quelli della forza.
Nella figura sotto il battitore colpisce la palla con una forza in circa 0,01 s (impulso). La palla ha velocità di arrivo v1 e dopo essere stata colpita diventa v2.
(Crediti:
Brina Schenk with UBC and Douglas College
- CC BY-SA 4.0)
Quantità di moto
Il prodotto della massa di un corpo per la sua velocità istantanea si chiama quantità di moto.
La quantità di moto è una grandezza vettoriale avente direzione e verso coincidenti con quelli della velocità.
Gli effetti della quantità di moto di un corpo in movimento dipendono sia dalla massa, sia dalla velocità.
Per esempio, un colpo di karate dato ad alta velocità con la mano di taglio (piccola massa) rompe una tavoletta di legno. Lo stesso risultato si ottiene con una grossa pietra (grande massa) che vi cade sopra a bassa velocità.
Questo spiega perché un proiettile di piccola massa sparato ad alta velocità è in grado di perforare un corpo di elevato spessore.
Conservazione della quantità di moto
Supponiamo di avere due particelle di massa m1 e m2 che si muovono l'una contro l'altra con velocità v1i e v2i.
La quantità di moto iniziale è:
qi = m1v1i - m2v2i
Dopo un urto elastico diventa:
qf = -m1v1f + m2v2f
La quantità di moto totale è la stessa, ma la velocità è invertita.
Da questo esempio possiamo ricavare la legge della conservazione della quantità di moto: la quantità di moto totale di un sistema isolato si conserva costante.
In altre parole, la legge della conservazione della quantità di moto può essere descritta come una grandezza fisica che rimane costante prima e dopo l'urto di due o più oggetti in un sistema.
Se una palla si muove contro un'altra, che invece è ferma, dopo l'urto la prima si ferma mentre la seconda si allontana.
La quantità di moto, anche in questo caso, si è conservata perché prima dell'urto
m2v2i = 0
e dopo l'urto
m1v1f = 0
Come terzo esempio vediamo il pendolo di Newton.
Una serie di sfere di uguale massa sono sospese, alla medesima distanza, a due aste orizzontali con fili tesi della stessa lunghezza.
Solleviamo la prima sfera di un certo angolo e poi la lasciamo cadere. Questa urta contro le sfere, che restano immobili tranne quella che si trova all'estremità opposta, la quale si solleva con il medesimo angolo, per poi ricadere. La somma della quantità di moto di entrambe le sfere prima dell'urto è uguale alla somma della quantità di moto di entrambe le sfere dopo l'urto.
Attrito
Quando proviamo a spingere un tavolo sul pavimento, troviamo una certa difficoltà, in particolare nella fase iniziale, oppure quando facciamo scivolare su un piano orizzontale una biglia, questa dopo un po' di tempo si ferma. Si tratta di due esempi di effetti prodotti da una forza detta forza d'attrito, o semplicemente attrito, che è una grandezza vettoriale con direzione parallela alla superficie di contatto e verso opposto al moto.
Le superfici che generano l'attrito sono dette scabre.
La forza di attrito è la resistenza che si oppone al moto di un solido sopra un altro solido.
Lo stato di quiete, come visto in precedenza, è dato dalla reazione vincolare, che equilibra la forza-peso. Per muovere il corpo occorre applicare una forza che vinca l'attrito
, il quale ha senso opposto rispetto alla forza applicata.
Nel secondo principio della dinamica bisogna quindi inserire questa resistenza passiva.
Se è la forza motrice che agisce su un corpo di massa m e
è l'attrito, abbiamo:
L'attrito può essere distinto in attrito radente e volvente. L'attrito radente è a sua volta diviso in attrito statico e dinamico.
Attrito radente
L'attrito radente è la forza che si oppone al moto di un solido sopra un altro solido.
Questa forza è applicata ai singoli punti della superficie di contatto, ma nei casi di superfici piane e levigate si può considerare come un'unica forza risultante di direzione uguale a quella del moto, quindi parallela alle superfici e di senso contrario.
Legge dell'attrito radente. La forza di attrito radente è proporzionale alla forza premente:
dove è la forza premente e kr è il coefficiente di attrito radente, che dipende solo dalla natura delle superfici di contatto ed è un numero puro, cioè non ha una unità di misura.
La forza premente, perpendicolare alle superfici di contatto, spesso, ma non sempre, coincide con la forza-peso. Più in generale, è la risultate delle forze applicate al corpo, secondo la componente verticale.
L'attrito statico è la forza che si manifesta tra superfici scabre quando il corpo è in quiete e gli impedisce di muoversi, ed è quindi la forza minima necessaria per metterlo in moto. Questa è proporzionale alla forza premente:
krs è il coefficiente di attrito statico che dipende dal materiale delle superfici di contatto.
Poiché l'attrito radente si oppone sempre al moto, ha senso opposto rispetto al moto.
Se la forza agente, parallela alle superfici, supera questa soglia minima, l'attrito statico cessa e il corpo inizia a scivolare. Ora si manifesta l'attrito dinamico, che è la resistenza che si oppone a tale movimento. Per questo, quando dobbiamo spostare un grosso peso, all'inizio bisogna fare uno sforzo aggiuntivo che superi l'attrito statico per avviare il movimento, e poi si sposta in modo più facile.
La forza di attrito radente dinamico ha la direzione parallela al piano, verso opposto al movimento, modulo direttamente proporzionale alla forza premente:
krd è il coefficiente di attrito dinamico che, come nel caso precedente, dipende dalla natura del materiale della superficie di contatto.
A parità di materiale, krd è minore di krs e quindi l'attrito dinamico è sempre minore all'attrito statico e non dipende dalla velocità del moto. Per questo è più facile spostare un oggetto già in movimento piuttosto di uno fermo. Ciò dipende dal fatto che nello stato di quiete le particelle delle due superfici di contatto sono più compenetrate rispetto a quelle del corpo in moto.
Osserviamo la figura sottostante. È predisposto un piano inclinato, che può variare l'angolo α, sul quale è posto un corpo che esercita la forza-peso .
- La forza motrice
, componente parallela al piano della forza-peso, è inferiore all'attrito statico
, perciò il corpo rimane in quiete.
- Aumentando l'angolo α, la forza motrice
aumenta e quando supera l'attrito statico
si manifesta l'attrito dinamico
, perciò il corpo si muove di moto accelerato.
- Diminuendo l'angolo α finché l'intensità della forza motrice
uguaglia l'attrito dinamico
, il corpo si muove di moto rettilineo uniforme.
Attrito volvente
L'attrito volvente è la resistenza che si manifesta quando un corpo solido, sferico o cilindrico, rotola sopra un altro.
Legge dell'attrito volvente. La forza di attrito volvente è direttamente proporzionale alla forza premente e inversamente proporzionale al raggio della sfera o del cilindro:
La resistenza prodotta dall'attrito volvente è molto minore rispetto a quella dovuta all'attrito radente. Fin dall'antichità, infatti, l'uomo ha imparato a mettere grossi tronchi per trasportare enormi massi in modo assai più facile che non con il trascinamento.
Riassumendo, l'attrito dipende:
- dalla ruvidità della superficie di contatto: più è ruvida e maggiore è l'attrito;
- dalla forza con la quale il corpo preme sulla superficie: maggiore è la forza premente, maggiore è l'attrito.
L'attrito non dipende:
- dall'ampiezza della superficie.
La forza d'attrito genera calore, per questo uno zolfanello si accende quando viene strisciato su una superficie ruvida ed è il motivo per cui ci sfreghiamo le mani per scaldarci.
Gravitazione universale
La legge della gravitazione universale di Newton è stata trattata nella pagina di astronomia insieme alle leggi di Keplero.
Caduta libera dei gravi
Lo studio della caduta di un grave parte dal presupposto che un corpo di massa m è attirato dalla forza di gravità terrestre secondo la formula già vista nella pagina precedente:
dove è l'accelerazione di gravità del luogo.
Per piccoli dislivelli il valore dell'accelerazione di gravità si può considerare costante pertanto: finché l'accelerazione di gravità si considera costante, la caduta dei gravi nel vuoto avviene secondo la verticale con moto uniformemente accelerato e con accelerazione che non dipende dalla massa del corpo.
Le leggi sono quelle del moto uniformemente accelerato che abbiamo già visto, sostituendo a con g:
Verifichiamo con un esempio.
Lasciamo cadere una pallina è fotografiamo la caduta a intervalli di 1/10 di secondo.
Dalle foto possiamo misurare lo spazio percorso agli intervalli stabiliti e calcolare la velocità media e istantanea, che inseriamo in tabella e poi in grafico.
t (s) | 0 | 0.1 | 0.2 | 0.3 | 0.4 |
---|---|---|---|---|---|
s (cm) | 0 | 4.9 | 19.6 | 44.1 | 78.4 |
Δs (cm) | 0 | 4.9 | 14.7 | 24.5 | 34.3 |
vm (cm/s) | 0 | 49 | 147 | 245 | 343 |
vi (m/s) | 0 | 0.98 | 1.96 | 2.94 | 3.92 |
s/t2 | 0 | 490 | 490 | 490 | 490 |
Dall'esperimento possiamo ricavare:
- la caduta del grave avviene con moto rettilineo;
- il moto non è uniforme perché la velocità media aumenta a ogni intervallo;
- la velocità ad ogni intervallo aumenta di 0,98 m/s.
- l'accelerazione è costante ed è pari a 9,8 m/s2 (accelerazione di gravità);
- lo spazio percorso è direttamente proporzionale al quadrato dei tempi
s = kt2;
Se lasciamo cadere un oggetto leggero (piuma) e uno pesante (martello), ci si aspetterebbe - e così si pensava in passato (Aristotele) - che il martello cada prima della piuma. Effettivamente, nell'aria avviene proprio questo. Ciò perché si ha la resistenza del mezzo, un altro tipo di attrito, che interessa i fluidi, che dipende dalla loro viscosità, dalla densità, dalla pressione e dalla geometria del corpo. Nel nostro caso, l'aria oppone una resistenza passiva sulla piuma, contraria al senso del moto, superiore a quella del martello a causa della specifica forma.
Galileo, al contrario di Aristotele, sosteneva che nel vuoto tutti i corpi cadono alla stessa accelerazione costante, indipendentemente dalla massa. Questa è una conseguenza dell'equivalenza tra massa gravitazionale e massa inerziale.
Un'eloquente dimostrazione è stata fornita nel 1971 durante la missione lunare Apollo 15. L'astronauta David Randolph Scott ha lasciato cadere una piuma e un martello e questi hanno toccato il suolo simultaneamente, dopo 1,3 secondi.
Forza centripeta e centrifuga
Forza centripeta
Nel moto circolare uniforme, abbiamo descritto l'accelerazione centripeta come il vettore rivolto verso il centro, dato dalla variazione del vettore velocità nel tempo.
Affinché ci sia questa accelerazione - che consente al corpo di compiere una traiettoria circolare con velocità uniforme -, per il secondo principio della dinamica deve agire una forza, diretta verso il centro della circonferenza, con punto di applicazione coincidente col vincolo esterno, che provoca tale accelerazione. Questa è detta forza centripeta, una forza reale che dipende dalla massa m del corpo che ruota, dalla sua velocità tangenziale v e dal raggio r della circonferenza secondo la formula:
Questa forza impedisce che il corpo in moto circolare sfugga lungo la tangente.
Forza centrifuga
La forza centrifuga, non è una vera forza, ma una forza apparente o fittizia.
È apparente perché è osservabile solo nei sistemi accelerati, cioè non inerziali (si ha uno stato inerziale quando un corpo è in quiete o in moto rettilineo uniforme). Infatti, non deriva da interazioni con altri corpi o da un'azione fisica che la produca, ma dal fatto che il sistema di riferimento non è inerziale e scompare per osservatori non inerziali.
La forza centrifuga ha intensità uguale, verso contrario alla forza centripeta, cioè verso l'esterno, punto di applicazione coincidente con il baricentro del corpo:
Poiché v = ωr, possiamo scrivere:
Tale forza tende a portare verso l'esterno il corpo in movimento.
Si precisa che la forza centrifuga non è data dalla reazione uguale e contraria alla forza centrifuga di un corpo che interagisce con un altro, secondo il terzo principio della dinamica. Entrambe le forze, infatti, sono applicate allo stesso corpo. Non si tratta, quindi, di una reazione, ma una forza che compare per mantenere in quiete un sistema di riferimento non inerziale.
Facciamo un esempio.
Un'auto percorre un circuito di raggio r. La forza centripeta, prodotta dall'attrito statico degli pneumatici sull'asfalto, consente un moto circolare, impedendo all'auto di uscire dal tracciato seguendo la tangente. Con gli pneumatici lisci e l'asfalto bagnato è ciò che può succedere perché viene a mancare la forza centripeta.
Contemporaneamente il guidatore avverte la forza centrifuga - uguale e opposta alla forza centripeta - che tende a sbalzarlo fuori per inerzia - secondo la tangente e non radialmente -, se non si usano le cinture di sicurezza, senza però che ci sia una reale forza. Essa dipende solo dal moto relativo dell'auto.
Se è presente uno spettatore che osserva la corsa dall'esterno del circuito - quindi solidale con il suo sistema di riferimento inerziale -, vede solo l'auto che si muove con moto circolare uniforme (l'auto e il pilota si trovano in un sistema di riferimento non inerziale).
A voler essere precisi, nella figura la forza centripeta dovrebbe essere applicata agli pneumatici a contatto con l'asfalto mentre la forza centrifuga al baricentro dell'auto, con generazione di una coppia di forze e conseguente possibile ribaltamento.
Moto pendolare
Il pendolo semplice è un punto materiale vincolato a un punto fisso da un filo flessibile, inestensibile e senza peso*.
Quando il punto si sposta dalla posizione di quiete, ritorna in posizione iniziale ma, invece di fermarsi, prosegue fino a una nuova posizione, simmetrica alla precedente. Da qui riprende il percorso fino alla posizione iniziale e così via.
* Si tratta di un'astrazione matematica perché un filo reale non presenta mai queste caratteristiche.
Dal punto di vista energetico (argomento affrontato in dettaglio più avanti), quando il punto è spostato dalla posizione di equilibrio ai due estremi possiede solo energia potenziale e velocità nulla. Rilasciato, parte dell'energia potenziale è convertita in energia cinetica. Superata la posizione di equilibrio, la restante parte di energia potenziale è convertita in energia cinetica per risalire nella posizione opposta, e così via.
Esaminiamo il pendolo in dettaglio.
Il pendolo della figura sotto è costituito da un grave di massa puntiforme m e di peso P = mg, sospeso a un filo di lunghezza l in O. Quando il grave si trova in pozione M, cioè sulla verticale in O, la forza-peso è equilibrata dalla reazione vincolare secondo il principio di azione-reazione. Se viene spostato lateralmente in M', sull'arco con angolo α in O, la forza-peso
è scomposta nella componente
, nella direzione del filo, e
normale a essa. La prima è equilibrata dalla tensione del filo (reazione vincolare), mentre
muove il pendolo con moto vario. A questa si deve sommare la forza centripeta (e la reazione centrifuga), essendo un moto circolare.
Se però consideriamo α < 4°, lo spostamento (
) si confonde con l'arco
e quindi la forza centripeta è nulla perché il moto diventa rettilineo e la
assume la stessa direzione di
ma verso opposto.
Lasciato libero in M', per il secondo principio della dinamica la forza (massima in M') riporta il pendolo in M con accelerazione tangenziale a = f/m e velocità crescente che raggiunge in M il massimo valore.
Arrivato in questo punto (F2 = 0), lo sorpassa per il primo principio (inerzia), la velocità decresce fino ad annullarsi in M'' e la forza, con senso opposto, aumenta.
Raggiunto il punto M'', simmetrico rispetto a M', si ripetono le condizioni di M' e poi di nuovo ricomincia.
Il moto è dunque periodico e, in assenza di attriti, continua indefinitamente.
Consideriamo i due triangoli OQM' e ACM'. Questi sono simili perché triangoli rettangoli e angoli perciò:
Per il secondo principio della dinamica P = mg e F2 = ma perciò, sostituendo alla precede otteniamo:
ma : mg = x : l
Tenendo conto che ha sempre senso contrario allo spostamento:
da cui:
Questa è l'espressione di un moto armonico di cui abbiamo accennato qui, dove l'accelerazione è:
a = -ω2x
Confrontandola con la precedente abbiamo:
e il periodo T, cioè il tempo impiegato per compiere una oscillazione completa è:
Poiché in uno stesso luogo il rapporto g/l è costante, essendo g e l due costanti, questo prova che lo spostamento e l'accelerazione sono direttamente proporzionali e che il moto pendolare è un moto armonico semplice.
Dalla formula precedente possiamo dedurre quanto segue.
- Le piccole oscillazioni sono isocrone (Legge dell'isocronismo di Galileo). La durata delle oscillazioni (periodo) non dipende dalla loro ampiezza (purché siano piccole); infatti, nella formula non è presente il valore dell'angolo. Per esempio, se le oscillazioni del pendolo si smorzano, cioè diminuiscono la loro ampiezza, la durata dell'oscillazione non varia.
- Il periodo di oscillazione non dipende dalla massa del grave. Nella formula, infatti, non compare la massa.
- Il periodo di oscillazione è direttamente proporzionale alla radice quadrata della sua lunghezza. Per un'oscillazione di durata doppia occorre un pendolo di lunghezza quadrupla.
- I periodi di pendoli di uguale lunghezza sono uguali. Deriva dalla precedente. Ciò avviene indipendentemente dalla massa e con sfere di diverso materiale.
- Il periodo di oscillazione è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell'accelerazione di gravità. Un pendolo all'Equatore ha un periodo di oscillazione maggiore rispetto al Polo perché l'accelerazione di gravità è inferiore in quanto è più rigonfio e quindi più distante dal centro della Terra. Questa legge è stata usata da Jean Richer per dimostrare la forma di ellissoide della Terra.
A tutto questo si aggiunge una proprietà importante, utilizzata come prova della rotazione terrestre: la invarianza del piano di oscillazione del pendolo (pendolo di Foucault - dal fisico francese Jean Bernard Léon Foucault [1819 - 1868])
Un pendolo sospeso in O, con oscillazione iniziale su un piano verticale passante per A e B, mantiene sempre lo stesso piano, anche se la base è fatta ruotare.
Questo perché, per il principio di inerzia, non può mutare la direzione del moto, a meno che non intervenga una forza esterna.